Il gioco

…La categoria  del gioco sembra la più adatta all’approssimarsi al mistero della creazione artistica. Non porta pregiudizi all’arte, considerarla tra le attività dell’homo ludens.

Gioco non equivale a divertimento. Il gioco è la via regale per cui passa la creatività. Neppure la Bibbia esita a ricorrere al gioco per descrivere l’attività creatrice di Dio: la Sapienza, secondo la celebre immagine del Libro dei Proverbi (8,30), era accanto al Creatore “giocando tutto il tempo alla sua presenza”. Rivendicando all’arte il carattere di gioco, difendiamo un tratto antropologico tra i più minacciati dell’attuale civiltà tecnologica. Allo stesso tempo difendiamo lo spazio per l’esperienza religiosa. Che cos’è la fede, in ogni esistenza cristiana, se non un “mettersi in gioco”?… (S. Spinsanti)

S. Veronica – per chi ne ha già sentito parlare – è nota come la “mistica dell’espiazione”. Sappiamo che la sua vita religiosa, secondo la spiritualità tipica del suo tempo, è caratterizzata da molteplici forme di penitenza in espiazione dei peccati delle anime più lontane da Dio (lei stessa si definirà “mezzana” tra Dio e i peccatori, e la sua follia, in questo senso, la spingerà fino a porsi sulla bocca dell’inferno per impedire alle anime di entrarvi, disposta a pagare qualsiasi prezzo pur di riportarle a Dio).

Questo è senz’altro il volto più impressionante di Veronica, il più conosciuto, anche se sconcertante, per quanto abbia comportato per lei grandi sofferenze, ma non per questo manca in Veronica il risvolto gioioso del suo rapporto con Dio. Per lei Dio è un Tu con il quale fin dalla più tenera età è capace di “giocare”.

Avremo modo di vedere come Veronica ha con Dio un tipo di relazione in cui c’è posto per il gioco, la gara e lo scherzo; essa scopre che Dio è “giocatore” nella sua intima natura e che lei, come creatura umana, è invitata a partecipare a questo “gioco”.

Veronica bambina, poi giovane adolescente, poi donna e religiosa, avrà sempre a che fare con gli scherzi d’un Dio che la fa maturare nell’amore e la porta alla follia, proprio attraverso continue sfide e vere e proprie gare d’amore.

Sotto questa nuova luce potremmo allora identificare l’originalità di Veronica, proprio con la sua capacità di mettersi in gioco, di stare al gioco, un gioco che di anno in anno, raffina la sua abilità nel comprendere i gusti di Dio, per rispondervi in maniera sempre più pronta e precederlo, addirittura, in ciò che Lui si aspetta da lei.

E’ una gara a due tra Dio e la sua anima… un gioco che prorompe istintivamente e si esprime in termini di vitalità immediata…

Veronica ci ha lasciato 22.000 pagine di diario, inoltrandoci nel quale, non possiamo non provare vertigine e disorientamento, infatti, non parla tanto di se stessa, bensì dell’irrompere continuo nella sua vita, di una Presenza sconvolgente, un Tu che prevale su di lei con la potenza dell’Amore e, per così dire, “sequestra” la sua vita in una missione che trascende ogni umana capacità e immaginazione.

La sua non è una storia qualunque, ma quella di un’anima nel suo rapporto con Dio, una storia che si svolge nella profondità del suo essere, nella sua interiorità immersa nel Mistero…da questa profondità Veronica si racconta e i suoi scritti sono simili ad una vena d’acqua che affiora e che porta con sé qualcosa della freschezza e della trasparenza divine… non ci resta che lasciarcene affascinare…

…giochi d’Infanzia

“[Oggi]…il Signore mi ha fatto comprendere certe grazie e favori datimi da piccolina e come ha cominciato a scherzare con me fin da quando ero in fasce1…”.

“…Avevo forse tre o quattro anni quando, una mattina, mentre mi divertivo a cogliere dei fiori nell’orto, mi parve di vedere Gesù bambino che coglieva gli stessi fiori con me, allora smisi di coglierli, andai verso il Bambino per prenderlo e mi sembrò che  dicesse: – Sono io il vero fiore – poi, immediatamente  scomparve.

Tutto ciò lasciò in me come una luce che mi portava a non cercare più il piacere nelle cose momentanee,  mentre rimanevo tutta attratta dalla bellezza del divino Bambino.

Mi era rimasto così impresso nella mente che neppure comprendevo ciò che stavo facendo. Correvo ora in un luogo, ora in un altro per vedere se lo potevo  ritrovare.

Ricordo che mia madre e le mie sorelle mi trattenevano, affinché non corressi più, e mi dicevano:- Cosa fai, sei impazzita?- Io ridevo e non dicevo niente, ma sentivo che non potevo star ferma. Mi fermavo un po’, ma subito ritornavo nell’orto per vedere se lo trovavo di nuovo…”

“In età anche più piccola, ogni volta che vedevo un’immagine della Madonna e di Gesù Bambino non potevo saziarmi di dargli dei baci…”

 

quadro madonna che diede il bambino alla Santa

“…una mattina, stando davanti ad un’immagine, dicevo: – Gesù mio, vieni da me…- allora il Bambino mi guardava e rideva, …Oh! Dio, non resistevo più: volevo arrivare a quell’immagine, ma non potevo. Allora presi in mano non so che, e tanto feci, che mandai a terra il chiodo e l’immagine. Poi mi avvicinai alla Madonna e le dissi: – Io voglio questo Bambino, dallo a me…”

“In qualunque luogo mi fosse capitato di vedere un immagine, mi fermavo e se per caso in quel momento non potevo, appena non ero più vista da nessuno, ritornavo lì e mi mettevo a discorrere con Gesù, così come avrei fatto con una creatura e, delle volte, Lui ragionava con me e rispondeva a tutto…

“…Spesso, per riuscire a dargli dei baci, facevo un mucchio di sedie e banchetti e quando vi ero salita, si rovesciavano tutti e io con essi e più di una volta mi ruppi il capo.

Oh, allora sì che mi facevo sentire! Appena mi avevano medicate le ferite, tornavo lì per dire: “Vedi quello che ho fatto per venire da te?…”

“Un’altra volta avevo un paio di scarpe nuove, erano così belle che non volevo che nessuno me le toccasse; mi pare fossero le prime che misi ai piedi.

Stando un giorno alla finestra, vidi un povero nella strada, il quale mi chiese l’elemosina, e io, non avendo niente da dargli, mi cavai una delle mie scarpe e la diedi al povero, il quale se n’andò tutto contento; ma dopo pochi passi, tornò indietro e mi disse: – O mia fanciulla, dammi anche l’altra scarpa- e io, subito, gliela diedi. Allora lo vidi così bello, che non ricordo d’aver mai visto una creatura vivente simile a lui.

Molti anni più tardi, una volta, mentre pregavo, vidi il Signore con un paio di scarpettine in mano, erano tutte d’oro e mi disse: – Queste sono quelle scarpe che tu mi desti da piccola, il povero ero io. E subito scomparve.

Già così piccola, davo per amore di Dio ciò che avevo nelle mani e quando non avevo altro mi toglievo le cose di dosso…”

“voglio che Dio vinca!…”

Con Veronica bambina Gesù faceva scherzi da Bambino, con Veronica adulta Gesù gioca da innamorato e da Sposo.

Nell’anno 1702 Veronica ha 42 anni e racconta come ancora Iddio si serva di un “gioco” per farla avanzare nella sua unione amorosa con Lui.

Prima di cominciare, sembra che il Signore la voglia preparare, informandola in che cosa consisterà: sarà un “gioco di luci”.

Veronica, che nel suo cammino moltiplica gli atti d’amore, aggiungendone ogni giorno di nuovi e sempre più stravaganti,  ora, paradossalmente, può crescere nell’amore solo se accetta di togliere qualcosa da sé.

E’ mirabile vedere come la Sapienza divina, la porti a prendere coscienza degli ostacoli che sono in lei, attraverso un dialogo scherzoso, in cui dapprima sembra che Dio le chieda qualcosa di impossibile, mentre Veronica,  poco a poco, si rende conto che questa richiesta, in realtà è una grazia, e si dispone a riceverla.

Il dialogo diventa allora un “gioco di luci”, grazie alle quali Veronica può guardare alla sua vita passata dal punto di vista di Dio stesso e riconoscere tutta la vanità di certi suoi atti e comportamenti in cui prevaleva l’egoismo, il suo piacere, piuttosto che quello di Dio.

Veronica capirà d’aver perduto delle occasioni preziose, riconoscerà d’essersi “giocata”

Qui scoprirà che la vera finezza, nel gioco d’amore, sta nel saper perdere tutto affinché sia l’Altro a vincere.

“Ho capito che fra poco (…) Iddio farà con il mio cuore un gioco amoroso.

Ho compreso che Egli mi vuol manifestare come mi sono comportata in passato e come ho preso in giro il mio stesso cuore, offrendolo ora al mondo attaccandomi alle cose che passano, ora al tentatore scegliendo di fare a modo mio piuttosto che  in quello che sapevo essere la volontà di Dio. Oh, in quanti modi ho compreso di aver giocato questo cuore! Ma adesso devo pormi in gioco in maniera nuova, perché voglio che Dio  vinca! Oh! Quale grazia è questa per l’anima mia!

“…Stamane, fra le otto e le dieci ho avuto un rapimento con la visione di Gesù che mi chiedeva il cuore e sembrava che l’anima mia e Gesù  facessero fra loro come un dialogo.

L’anima diceva:  – non chiedermi il cuore perché è già tuo, assolutamente!!

Allora Gesù rispondeva: – Non è vero!

L’anima replicava: – E’ tuo!

Ed Egli ancora: – Non è vero!

Soggiungeva lei: – Sì, è vero, sono tua! Il mio cuore, il mio corpo e  tutti i miei sentimenti… sono tutta tua, mio Dio! Desidero conformarmi con la tua santa volontà!

Ed ero ben convinta di ciò che stavo dicendo, ma Lui continuava a dirmi che io non dicevo la verità.

Io mi sentivo accendere tanto il cuore (…) ed ero pronta a qualsiasi cosa per Lui, ma Egli  ripeteva: -Di più, di più, di più! (…) Allora ho capito che in me c’erano degli impedimenti e avrei dovuto togliere quelli. Mi fece conoscere alcuni miei difetti,  cioè che agisco con freddezza e nel mio comportamento, a volte, c’è amor proprio, cerco il mio piacere e vi  mescolo anche rispetti umani…”

“…Mi è rimasta impressa una luce speciale riguardo le virtù e il sentimento con il quale vanno praticate.

Tutte le virtù hanno radice nell’umiltà che è la più difficile, dato che questa nostra natura è tutta intrisa di alterigia. Ogni opera l’attribuisce a sé, alla propria capacità e al proprio ingegno. La nostra natura sta così nascosta nel fango della vanagloria, che neppure si accorge che questa è un male, perché l’amor proprio lo copre con qualche apparenza di virtù, ma falsissima, e con inganni così sottili, che difficilmente la creatura li riconosce.

Ora, di questi mali e simili inganni, Iddio me ne ha scoperti talmente tanti che mi pare di poter dire che non vi sia azione in me, in cui non siano presenti anche questi difetti e che tutto dipende dalla mancanza di umiltà (…) e di preghiera.  Sono troppo attaccata a me stessa…”

Oh Dio, che dolore mi è stato vedere tante colpe in me. Queste luci e questa conoscenza mi sollecitano a guardare bene nel libro della mia coscienza. Vi trovo sempre cose nuove. Oh! Che miseria è la mia!…”  “…Vorrei subito levarla da me… Qualche volta, se io potessi andrei a trovare il mio confessore e mi confesserei in mezzo alla piazza, ovunque lo trovassi!

“…Con questa luce sopra i miei difetti e col provarne dolore, mi sentivo tutta trasformata, come mi fosse levata di dosso una grande montagna. Prima avvertivo un grave peso e, ad un tratto non lo sentivo più e il mio spirito restava in pace e tutto assorto in Dio. Prima mi pareva di stare in grandi tenebre, vedevo tutto annebbiato per i molti difetti che avevo davanti; poi Iddio, con la sua santa grazia e con la luce, mi ha aperto l’intelletto per comprendere e (…)  fuggire tutti questi mali…”

“Grazie sopra grazie mi fa Iddio, ma questa di farmi conoscere i miei peccati col darmene dolore immediatamente, mi pare che sia una grazia più speciale di tutte!”

“non sono più io che vivo…”

Nel gioco Veronica impara a perdere e poi ama farlo, allora Dio quasi per sorprenderla, si dimostra contento d’essere corrisposto e, in un primo tempo accetta di vincere, in modo da non toglierle questa santa gioia.

Avviene così un “gioco” che dà quasi l’idea di un’”altalena”: prima Dio sprofonda l’anima di Veronica nella consapevolezza del proprio nulla, poi l’innalza, attraverso repentine grazie alla conoscenza diretta di Lui.

Quando Veronica entra  nella conoscenza della propria miseria, è pronta per ricevere le più grandi grazie. Dio allora, trovandola umile e vuota di se stessa, può entrare, operare in lei e innalzarla alle vette più alte della contemplazione; Egli la rapisce nel suo stesso Cuore, dove Veronica conosce l’abisso di Misericordia per sé e per tutte le anime…

Veronica parla di questo movimento come dell’attrazione d’una calamita. Dio è per lei  una calamita irresistibile e, mentre se ne lascia attirare, si trasforma lei stessa in calamita: per Dio, attratto dalla sua disponibilità,  e per un’infinità di anime che per la sua intercessione avranno la grazia della conversione.

Proprio in questo  “saliscendi”  trova origine la sua missione di “mezzana” tra Dio e i peccatori.

“…tutta la notte ci fu una gara tra me e Dio: la vinse Dio…” “…ed Egli godeva di essere corrisposto…”.

“…Prima mi illuminava riguardo i miei peccati e questa luce mi procurava dolore, ma nell’atto del dolore mi accendeva di amore divino e subito, come di volo, mi trovavo in Lui: Dio nell’anima e l’anima in Dio…”

“Il Divino Amore, con voli, spesso mi sollevava a Sé e nel tornare, mi trovavo nella mia impotenza, mi fermavo nel mio nulla, mi umiliavo davanti a Lui e (….) mentre così facevo, il Divino Amore si nascondeva nell’intimo dell’anima mia e operava in me e per me. Sentendone gli effetti, l’anima mia ancor più si abbassava, si sprofondava nel profondo del nulla. Egli allora mi sollevava da questo nulla e, come di volo, mi poneva in Dio, e Dio, trovando l’anima mia annichilita mi innalzava alla conoscenza dei divini misteri e mi faceva capire che dovevo trarne vantaggio per me, ma non solo per me, anche per le altre anime…”

“…Oh come avrei caro che tutto il mondo lo conoscesse, affinché tutti l’amassero e facessero la sua divina volontà (…). Questo Dio è tanto amante delle anime, che altro non vuole da noi, che lo amiamo, (…) fino a  poter dire come san Paolo: “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me…”

“Iddio è come una  calamita. Appena l’anima si ferma nella sua divina volontà ed è risoluta a non desiderare altro, Dio l’attira a Sé …Essa si trova in Dio, eppure non sa  come Iddio si trovi unito a lei, per questo dico che Iddio è calamita e che, attraverso l’amore, fa questi scherzi con l’anima.

Lo stesso Amore poi, stando in quest’anima, trasforma anch’essa in una calamita che tira a sé Iddio… io non trovo modo di manifestare queste opere divine che Iddio fa con le con le anime sue spose. Altro non posso dire che (…) se avessi mille vite, le darei tutte per questo e per la salvezza delle anime.

Sono sicura che chiunque lo comprendesse si darebbe tutto al suo servizio divino. Il suo amore ha questo di proprio: che in un tratto ruba il cuore e non si può fare a meno di amarlo…”

nella quotidianità…

L’anima di Veronica, soverchiata dalle onde d’amore che la sollevano dalla conoscenza profonda del suo nulla, alle sublimi altezze della contemplazione, in un gioco che abbiamo rassomigliato a quello dell’altalena, avanza ancora nella scuola dell’amore, attraverso la concretezza di un quotidiano in cui trova spesso contrasti forti tra il suo temperamento impetuoso e il suo cuore, ormai dominato dall’amore.

Dio continua le sue vittorie con Veronica e lo fa, spogliandola progressivamente persino delle soddisfazioni più sante.

Veronica si trova a fare i conti con periodi di grande oscurità, durante i quali non prova alcuna soddisfazione, neppure quella di dare gusto a Dio, ma lei sa rimanere nel gioco anche quando non sente più nulla, anche quando Dio le si nasconde.

Veronica, infatti, accetta il nascondersi di Dio come uno dei suoi “scherzi amorosi” e neppure fra le tenebre e la desolazione cede alla tentazione di ritirarsi dal gioco.

Questo rende la sua anima via via più purificata e disponibile al volere divino, tanto da attirare la benevolenza di Dio stesso che si dichiara pronto a concederle qualsiasi grazia.

Lui le concede grazie per eccesso d’amore, e lei, per gareggiare con Lui, gliele restituisce con un dinamismo simile ad un reciproco “palleggiarsi” le grazie; questo movimento che si fa man mano sempre più ravvicinato,  sfocia in un “abbraccio amoroso” in cui Veronica lancia se stessa e dove, per il godimento spirituale, dimentica ogni pena precedente.

“Oh quanti scherzi d’amore provai in questa giornata!… Mentre ero immersa nelle faccende domestiche o impegnata negli esercizi di pietà, la mia umanità avrebbe voluto farmi fuggire, perché non avevo voglia di fare neanche un passo… dico solo che il Divino Amore, avendo preso dominio dell’anima mia, fu il Vincitore…”

“Mi sembra di comprendere che quando mi sento nell’aridità e nell’abbandono, Iddio vuole che impari a starci, perché mi dà violenti contrasti tra l’umanità e lo spirito. Egli si nasconde e io non riesco ad aiutarmi con niente, nulla mi giova, non conosco la volontà di Dio; cerco di non scostarmi da essa, ma se la faccio, non lo so. Sto in atto di fede, ma anche questa è oscura e senza un minimo di sentimento…

Per quanto riguarda la mia umanità, sono tutta un risentimento, ma non cedo e non le concedo nulla. Preferirei morire piuttosto che allontanarmi dalla volontà di Dio…”

“Io comprendo che la mia vita è Iddio e che mi conviene fare solo la sua volontà, non la mia. Quella di Dio voglio, mi tenga pure nelle tenebre o in mezzo ad ogni sorta di pene e, purchè Iddio abbia gusto, sono contenta di tutto ciò che Egli vuole, anzi, Egli mi spoglia persino della gioia che ho di farlo contento, non vuole che abbia nemmeno questo. Mi rimetto in tutto a Lui e se quello che io vorrei, Lui non lo vuole, dichiaro che nemmeno io voglio niente (…)  desidero spogliarmi di  tutto, anche di me stessa, per rimanere solo in Dio. Ma qualche volta questa spogliazione…Oh, come la sento!

Poi, all’improvviso accade che Lui, come impazzito,mi  apre i tesori delle sue grazie. Me ne fa dono e io le ridono a Lui, Lui le ridona a me e,  poco a poco, con questi scherzi d’amore, fa che l’anima si scordi di tutto, perché ella goda i riflessi amorosi e lo stesso Amore.

con Maria…

Chi accompagna e conduce Veronica in questo percorso è sempre la Vergine Maria che la istruisce passo dopo passo, la conferma con dei segni e insegnamenti che Veronica riceve non solo per se stessa, ma anche per gli altri.

“… la Vergine Santissima mi ricordò una ad una le grazie che dovevo chiedere (…) facendo questo, Ella mi dava un segno  di sicuro esaudimento. Il segno era un raggio che usciva dal suo cuore e veniva al mio e, attraverso quel raggio, il suo e il mio cuore erano perfettamente uniti.(…) Qui ricevetti  conferma che ogni grazia che noi chiediamo a Dio, si dovrebbe chiedere nel modo in cui m’insegnò la Vergine Maria.

E’ necessario, cioè, disporsi prima ad accettare la volontà di Dio, perchè questa è già la grazia più grande (…) poi ringraziarlo, tanto se riceviamo la grazia richiesta, quanto se ne restiamo privati. Ringraziarlo ed essere ugualmente contenti.

Questo è un punto grande, io l’ho appreso e mi pare che sia rimasto scolpito nel mio cuore, per mezzo del cuore stesso di Maria SS. ma…”

(Per ragioni di scorrevolezza e di comprensibilità, i testi del diario sono stati trascritti in italiano corrente.)

Cenni biografici

Veronica Giuliani, al secolo Orsola, nacque a Mercatello, un paesino adagiato sulle rive del Metauro, lungo la statale che unisce l’alta valle del Tevere al mare Adriatico.

La famiglia Giuliani era tra le più distinte dell’antica borgata marchigiana. Il padre, di nome Francesco, non dedicava molto impegno alla famiglia. Chi, invece, cercò di istillare i principii della fede, dell’amore di Dio e del prossimo nell’animo delle figlie fu la mamma. Benedetta Mancini, donna di profondi sentimenti cristiani.

Orsola, la più piccola di cinque sorelle, vide la luce il 27 dicembre 1660 e venne battezzata il giorno successivo.

A sette anni rimase orfana di madre, mentre il padre seguendo le sue aspirazioni politiche si trasferì a Piacenza, dove, non molto dopo, ricoprì la carica di sopraintendente alle finanze del ducato di Parma. Le figlie, affidate alle cure degli zii Rasi, lo seguirono solo qualche anno dopo, verso la fine del 1669.

A dieci anni, quando già si trovava a Piacenza con il padre, la piccola Orsola fu ammessa alla prima comunione. Affiderà al diario le gioie ineffabili e alcuni segni premonitori che accompagnarono il suo primo incontro eucaristico con Gesù.

Il 28  ottobre  1677,  all’età  di  17  anni, vinte le resistenze del padre, le lusinghe e i corteggiamenti del mondo, entrò nel monastero delle Cappuccine di Città di Castello per vestire definitivamente il ruvido saio francescano. Lasciò il nome di battesimo ed assunse quello di Veronica, che significa: portatrice di Vittoria (nome di origine greca anche se la tradizione latina ha visto nella donna della Via Crucis che ascigua il Volto di Gesù colei che ne porta l’immagine).

Trascorse l’anno del noviziato in un’alternanza di prove spirituali e di consolazioni celesti, sempre più risoluta a donarsi tutta al Signore, uniformandosi a Gesù Crocifisso.

Il 1° novembre 1678 fece la sua professione solenne, e come già nel giorno della vestizione, si offrì di nuovo vittima per la salvezza degli uomini.

E vittima fu veramente.

Di volta in volta, in maniera costante, esperimentò nelle carni e nello spirito l’amarezza del Getsemani, l’umiliazione e gli insulti  del pretorio, il martirio del Golgota. Poi, dopo un’ennesima confessione generale in cui l’Angelo custode, di fronte a tutta la corte celeste, fungeva da pubblica accusa, fu trovata degna di essere ammessa ai mistici sponsali:  la vetta accessibile solo a quelle anime che, con  abnegazione eroica, hanno cercato di vivere fino in fondo l’agonia e la morte di Cristo.

Seguirono, successivamente, la trasfissione del cuore e le stimmate. Così questa umile figlia di S. Francesco, che aveva lasciato l’agiatezza per la povertà, la libertà per l’obbedienza, gli allettamenti del  mondo per la solitudine con Dio, ebbe il raro privilegio di trasformarsi in una delle copie più fedeli e sconcertanti di Gesù Crocifisso.

A questo punto, le date diventano impossibili e non servono più. La stimmatizzata ci appare ostia vivente, posta tra la terra e il cielo, mediatrice tra Dio e gli uomini.

La sua vita fu un susseguirsi di mistici rapimenti e di immersione nelle tenebre, di spirituali deliri e di aggressioni finfernali, di gioie  dolcissime e di spasimi intcriori. Alternativamente e senza sosta, rivi veva le scene della passione e della crocifissione di Cristo; e lei non  ardeva che di un’unica sete: quella di immolarsi, per la conversione delle anime.

Le potenze dell’inferno non le dettero requie e gli stessi uomini, forse inconsapevolmente, spesso si trasformarono in aspri strumenti di tortura.

Docile allo Spirito Santo, fu maestra incomparabile delle novizie e saggia abbadessa della comunità fino alla morte: che avvenne, tra l’universale rimpianto, il 9 luglio 1727. Alla notizia, vi fu un grido unanime: «È morta la santa, è morta la santa!». I funerali riuscirono una apoteosi.

Temperamento volitivo ed esuberante, cuore sensibile e aperto, Veronica aveva salito i vari gradini della perfezione, superando gli ostacoli che si frapponevano all’ascesa.

Poteva infine ripetere con Paolo: «per me la vita è Cristo»; e ci ricorda le parole esaltanti di S. Ignazio di Antiochia:  «Nessuna cosa, visibile o invisibile, mi impedisca di raggiungere Gesù Cristo: il  fuoco,  la croce,  le belve e gli  strazi,  le  ferite,  e i  più  malvagi  tormenti del demonio vengano su di me, purché io raggiunga Colui che morì per me»!

Proprio per l’unione intima con Cristo, S. Veronica era stata arbitra della sorte di tante anime, aveva violato il carcere del purgatorio e piegato a misericordia la divina giustizia. Erano stati questi i suoi punti più fermi: la Chiesa, l’Eucaristia, un culto filiale a Maria, il sacerdozio;  e ai sacerdoti  si sottometteva in maniera incondizionata.

Giustamente è stato detto che la vita della religiosa tifernate costituisce una stupenda apologia della fede.

Per obbedienza al suo confessore, il P. Ub. Antonio Cappelletti, ci ha trasmesso in un ricco diario tutte le sue esperienze spirituali.

Le virtù eroiche di questa Santa ebbero il sigillo della Chiesa con la beatificazione proclamata da Pio VII il 7 giugno 1802 e con l’elevazione alla gloria degli altari, avvenuta ad opera di papa Gregorio XVI il 26 maggio 1839.

Noi formuliamo un voto: che S. Veronica Giuliani, in forza della sua vita tanto straordinaria e più ancora dei suoi scritti, venga dichiarata Dottore della chiesa.

Ciò costituirebbe un grande contributo alla fede e a una maggior conoscenza del misterioso rapporto che passa tra Dio e le anime che generosamente gli sanno rispondere.

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